Contro la crisi, riprendiamoci ciò che ci appartiene!
Febbraio 16th, 2010 | Published in Associazione
Contro la crisi, riprendiamoci ciò che ci appartiene!
Documento conferenza dei comitati locali di Attac 2009 – Certaldo (Fi) 27-28 Febbraio 2009.
1. La crisi è economica
La crisi è in corso ed è ben lungi dal concludersi.
Perché parte dalla finanza ma non è una crisi esclusivamente
finanziaria. Nasce dai meccanismi centrali di questo sistema. La
ricerca di sempre maggiori utili e la concorrenza fra i diversi
capitali hanno creato una forte sovracapacità produttiva mondiale, con
conseguente abbassamento dei profitti.
E’ la crisi di trent’anni di
politiche neoliberali e dell’illusione di un capitalismo libero di
dispiegarsi dentro la globalizzazione dei mercati, la liberalizzazione
della finanza, le delocalizzazioni produttive, la precarizzazione del
lavoro e le privatizzazioni.
Un gigantesco processo di trasferimento economico dai salari alle
rendite finanziarie e ai profitti, che, oltre a non aver determinato
una nuova fase espansiva, ha prodotto un forte peggioramento delle
condizioni di vita di gran parte delle popolazioni e un’impressionante
accelerazione del degrado ambientale.
2. La crisi è ambientale
A dispetto di tutte le politiche promosse dalle
istituzioni internazionali in questi anni, le persone che sul pianeta
soffrono la fame sono passate da 800 milioni ad 1 miliardo. Ad oggi,
1,3 mld di persone sono prive di acqua potabile e 2,5 mld sono prive di
servizi igienico-sanitari.
La temperatura globale probabilmente crescerà sino a
4°C entro fine secolo a causa dell’effetto serra, con effetti
devastanti : aumento degli eventi atmosferici estremi e della
desertificazione; innalzamento dei livelli marini e conseguenti
inondazioni; esodo di centinaia di milioni di persone e possibile
estinzione del 20 – 30% delle specie animali e vegetali.
A fronte di questa drammatica situazione, occorre
registrare l’assoluta impotenza delle istituzioni internazionali e dei
summit fra i poteri forti deputati ad intervenire : è dello scorso
novembre il fallimento dell’incontro della Fao, è di dicembre quello
del COP15 di Copenaghen.
Emerge un dato : l’impossibilità per questi vertici di
rimettere in discussione alla radice il modo di produzione che è alla
base della società attuale: proprietà privata delle risorse naturali
per trarne rendite o sovrapprofitti da monopolio e/o appropriazione
gratuita di tali risorse naturali, considerate come libere ed
inesauribili, con conseguente degradazione e rarefazione delle stesse.
Un modo di produzione basato sulla continua espansione
della produzione per aumentare i profitti e sull’indifferenza al
carattere limitato delle risorse, ai tempi dei cicli naturali, al
“cosa, come e per chi produrre”.
3. La crisi è di democrazia
Il pensiero unico del mercato, l’idea che l’intero
pianeta dovesse essere considerato un unico luogo di scambio delle
merci e di circolazione dei capitali finanziari, ha radicalmente
trasformato i diritti in bisogni e i servizi in merci da comprare.
La democrazia si coniuga sempre meno con l’autogoverno
dei cittadini e sempre più con la concentrazione dei poteri decisionali
in sedi sempre più ristrette al fine di rispondere in modo rapido alle
richieste dell’economia.
Tutto ciò che è ‘pubblico’ o ‘comune’ viene
progressivamente espropriato per consegnarlo alle leggi del mercato,
determinando una drastica riduzione degli spazi per l’azione collettiva
e per il controllo democratico.
Alle persone è offerto l’universo della “solitudine
competitiva” : ciascuno da solo sul mercato in diretta competizione con
tutti gli altri. Il razzismo manifesto, la ferocia identitaria verso i
più poveri, la corporativizzazione degli interessi sociali sono il
risultato di una frammentazione indotta e funzionale al mantenimento
delle divisioni sociali.
La stessa trasformazione degli amministratori locali da
gestori dei beni comuni e dei servizi pubblici locali in ‘sceriffi’
segnala il fatto che quanto più si restringe lo spazio orizzontale
della partecipazione e dell’inclusione tanto più si allarga lo spazio
verticale della coercizione autoritaria.
La democrazia negata fin dai livelli più prossimi ai
cittadini, con la trasformazione degli enti locali in holding e
multiutility, chiede una forte riflessione non solo sulla riapertura di
un ruolo del “pubblico”, bensì sulla riconquista dal basso di una
democrazia diretta e partecipativa
RIAPROPPRIAMOCI DI CIO’ CHE E’ NOSTRO
1. Il ridursi degli sbocchi produttivi ha portato i
capitali a riversarsi sui mercati finanziari nell’illusione che il
denaro potesse creare denaro dal nulla. Ma le speculazioni, per quanto
sofisticate, generano profitti fittizi e le bolle finanziarie sono
destinate ad esplodere a contatto con la realtà.
La deregolamentazione dei mercati finanziari, con la conseguente
libertà dei capitali di potersi muovere a piacimento alla ricerca delle
condizioni più remunerative, è stata uno degli strumenti fondamentali
delle politiche neoliberiste, che hanno pervaso l’intera economia,
ristretto gli spazi della decisionalità politica, trasformato i beni
comuni in merci e i servizi pubblici in merci da acquistare.
Un’inversione di rotta è assolutamente necessaria : riprendere una
costante elaborazione critica della finanziarizzazione, chiedere come
primo passo l’approvazione della legge sulla Tobin Tax (per la quale a
suo tempo raccogliemmo quasi 200.000 firme), rivendicare nuove forme di
tassazione globale sono i passi che possono contribuire a fermare la
speculazione e a riaffermare un controllo democratico dei movimenti di
capitali.
2. Il crollo dei mercati finanziari è anche il crollo degli investimenti dei Fondi Pensione.
Il ritorno a pensioni pubbliche che garantiscano una reale esistenza
dignitosa delle persone, oltre che una minima norma di giustizia
sociale, è una necessità di fronte al rischio di un futuro di indigenza
per gran parte della popolazione. L’esistenza futura delle persone non
può essere l’esito di una scommessa nei mercati finanziari ma deve
essere un diritto inalienabile per tutte/i garantito dal pubblico.
3. La precarietà del lavoro e nel lavoro, reclamata
come inevitabile sacrificio per garantire il benessere di tutti, ha
dimostrato il suo vero volto e non ha evitato una crisi, la cui gravità
è paragonabile solo a quella del 1929.
Per questo occorre ripartire dai diritti e dalla dignità, reclamando un
lavoro stabile e dignitoso per tutti, rispettoso dei cicli ambientali,
ridistribuito fra tutte e tutti a parità di salario, finalizzato a
rispondere ai bisogni sociali e ambientali.
4. La crisi ambientale richiede una radicale
trasformazione del modello produttivo ed energetico e della società
attraverso una nuova pianificazione democratica e partecipativa.
Occorre passare dal “consumo critico” alla “critica della produzione”,
ovvero dall’intervento individuale ‘a valle’ alla gestione
partecipativa ‘a monte’ verso un modello basato sul risparmio
energetico e su un’energia “pulita, territoriale e democratica”. “Come,
cosa e per chi produrre”deve essere deciso da tutte/i. Dentro la crisi
attuale, significa anche mettere in campo la ripubblicizzazione
partecipativa del credito e delle aziende in crisi, anche per favorirne
la riconversione produttiva verso la soddisfazione dei bisogni sociali
e ambientali.
5. Il ruolo del “pubblico” significa innanzitutto la
riaffermazione dei diritti inalienabili di ciascuna persona
all’esistenza e ad una elevata qualità della vita, attraverso il libero
accesso ai beni comuni naturali– come aria, acqua, territorio ed
energia- e la loro contemporanea tutela, e attraverso il libero accesso
ai beni comuni sociali – come sanità e assistenza, conoscenza,
protezione sociale, previdenza- e la loro possibilità di fruizione.
Significa inoltre l’universalità degli stessi per tutte le persone,
indipendentemente dalle differenze di origine, sociali, economiche, di
genere e di orientamento sessuale.
6. La voragine che si è aperta tra la rappresentanza
politica e istituzionale e la società va colmata non semplicemente con
la riattivazione di una democrazia rappresentativa, bensì attraverso la
conquista dal basso della democrazia partecipativa.
La riappropriazione sociale diventa lo strumento per collegare la lotta
alle privatizzazioni all’idea di una trasformazione generale della
società. Significa sottrarre al mercato ogni sfera che attiene ai
diritti, ai beni comuni naturali e sociali, non per affidarla ad un
pubblico ‘burocratizzato’ e tecnicista, bensì alla gestione
partecipativa a tutti i livelli.
LE PROPOSTE DI ATTAC
1. Ripartire dall’Europa
L’Europa si è costruita come spazio economico in cui i
capitali potevano scorrazzare liberi alla ricerca delle condizioni
migliori.
La mancata convergenza delle legislazioni economiche, sociali, fiscali,
e le condizioni economico sociali nei diversi Stati, mettono di fatto i
Paesi in concorrenza fra loro per attrarre gli investimenti. L’assenza
di uno spazio politico democratico adeguato e le politiche neoliberiste
dell’Unione Europea, che hanno il loro guardiano nella BCE, rendono il
nostro continente particolarmente vulnerabile alla crisi.
L’Europa è però anche uno spazio possibile per poter costruire un
progetto alternativo, impensabile a livello di singola nazione.
La costruzione di movimenti europei, avvenuta solo per brevi periodi e
a ‘macchia d leopardo’ –ricordiamo la campagna europea sulla Tobin Tax
o quella contro la direttiva Bolkestein- diviene sempre più necessaria.
Un compito che Attac, presente in tutti i Paesi e con una significativa
anche se ancora inadeguata rete propria, non può demandare ad altri.
I prossimi vertici sul clima e il prossimo FSE di Istanbul devono
diventare appuntamenti in cui la rete europea degli Attac promuove la
costruzione di movimenti europei sulla tassazione globale, la giustizia
climatica, e la ripubblicizzazione dell’acqua e dei beni comuni.
2. In Italia ripartire dai movimenti
Nel nostro Paese, la ricchezza dei conflitti a livello
territoriale trova il suo contraltare nella frammentazione degli
stessi. Attac Italia, a livello nazionale e territoriale, per
l’elaborazione e l’esperienza prodotta in questi anni, può dare un
importante contributo all’inversione di rotta.
1. Per la ripubblicizzazione dell’acqua.
L’esperienza del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, alla cui
costruzione e percorso Attac ha contribuito in maniera decisiva,
rappresenta un esempio di come sia possibile costruire reti nazionali
capaci di tenere insieme la ricchezza delle resistenze territoriali con
una vertenza nazionale, unitaria nell’aggregazione di forze, radicale
negli obiettivi perseguiti. I prossimi appuntamenti della
manifestazione nazionale del 20 marzo e della campagna di raccolta
firme per l’indizione di tre referendum abrogativi da aprile possono
rappresentare un momento di accumulazione decisiva di forze in grado di
vincere una battaglia importantissima per la ripubblicizzazione
dell’acqua e per modificare i rapporti di forza sulla lotta alle
privatizzazioni. Per questo è necessario un impegno straordinario e
visibile dell’intera associazione ai diversi livelli, nazionale e
territoriale. Finalizzato anche ad evidenziare il carattere
paradigmatico di questo referendum come primo momento di lotta per una
più generale riappropriazione sociale.
2. Per la giustizia climatica.
In questi anni e in moltissimi territori sono nate decine di resistenze
in difesa dei beni comuni. Tutte mobilitazioni significative e capaci
di proposte alternative nel segno della democrazia condivisa, che
contrastano la politica delle “grandi opere” devastatrici dei
territori, una gestione dei rifiuti legata al business
dell’incenerimento, un modello energetico dissipatorio e autoritario,
basato su impianti nocivi ed ora anche sul nucleare. La positiva
esperienza dei movimenti a Copenaghen segnala come la questione della
giustizia climatica, possa aprire spazi per una possibile
riunificazione di queste esperienze intorno a una critica complessiva
di questo modello economico e sociale. Da questo punto di vista, la
manifestazione del 20 marzo, concepita in forma aperta alle esperienze
di questi movimenti può rappresentare un primo passo. Il secondo passo
può diventarlo la costruzione di un forte movimento antinucleare nei
prossimi mesi, quando i programmi governativi diventeranno
significativamente attuativi. L’internità dei Attac a questi processi,
assieme alla promozione di iniziative diffuse in tutti i territori sul
binomio crisi/giustizia climatica (dibattiti, convegni esperienze
diffuse di università popolare) può rappresentare l’importante
contributo prodotto dalla nostra associazione.
3. Per la lotta alla finanziarizzazione dell’economia.
Riaprire la campagna per la Tobin Tax; approfondire un percorso di
studio e di mobilitazione per le tassazioni globali, per una critica
del ruolo del sistema bancario, per la ripubblicizzazione del credito;
costruire assieme ad altre reti interessate un osservatorio sulla
finanza (la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale ha già
manifestato interesse) sono gli obiettivi a cui Attac può dare un
importante contributo di analisi, di sensibilizzazione e di
mobilitazione sociale. Si tratta di intraprendere un’azione
sistematica, attraverso il coinvolgimento e il coordinamento di tutte
le disponibilità e le competenze presenti nell’associazione.
4. Per la conquista della democrazia partecipativa.
In ogni territorio diviene importante che il ruolo dei comitati locali
di Attac sia costantemente orientato a contribuire alla costruzione di
conflitti per la riaffermazione dello spazio pubblico come luogo
dell’inclusione sociale e della partecipazione democratica. In questa
direzione, le lotte per la ripubblicizzazione dei servizi pubblici
locali e il contrasto alle politiche securitarie e repressive diventano
un percorso comune di riapertura di spazi e diritti condivisi. La
costruzione di progetti “metropoli” o progetti “città”, ovvero la
costruzione di una conoscenza condivisa della complessità di ciascuna
realtà urbana può diventare un importante contributo alla connessione
tra le vertenze esistenti e la possibilità di un’azione comune per la
conquista dal basso di una nuova democrazia partecipativa.
Il ruolo peculiare di Attac che abbiamo individuato con
questo percorso/campagna “Riappropriamoci di ciò che è nostro” consiste
nell’essere presenti in questi filoni di iniziativa -così come in altri
momenti di lotta contro la crisi economica ed ecologica che potrebbero
nascere- portando la nostra peculiare chiave di lettura.
Che ci consente di intrecciare le singole campagne in corso
evidenziando i nessi che le collegano e di connettere le lotte
immediate ad una prospettiva più generale di trasformazione sociale.
Lo sforzo che come associazione dovremo fare sarà
quello di rendere evidente nell’azione collettiva come il referendum
non sarà per noi un’iniziativa solo sull’acqua, le iniziative
sull’effetto serra non saranno settorializzate al solo tema del
cambiamento climatico, la lotta alla finanziarizzazione non riguarderà
un settore separato dell’economia e le attività sui territori non
saranno pensate come iniziative locali.
Sforzo necessario sia per garantire l’efficacia di tali
iniziative, sia per una più generale ricomposizione dei movimenti e dei
soggetti sociali, senza la quale la possibilità di contrapporsi
all’attuale stato di cose non riuscirà a trasformarsi in un’alternativa
concreta.
Dovremo tutte e tutti assieme trovare gli strumenti
adeguati e prefigurare tipologie di iniziative da suggerire
all’attività dei comitati locali e all’associazione nel suo insieme.