Riappropriamoci dell’acqua con i referendum

Marzo 21st, 2011  |  Published in Associazione, General, No alla privatizzazione dell'acqua  |  1 Comment

di Raphaël Pepe*

 

Perché l’acqua deve essere pubblica?

Partendo da un principio molto semplice, capiamo perché la gestione del servizio idrico integrato da parte di un privato non puo essere efficiente.

Lo scopo di un privato è, per definizione, quello di fare profitti, e l’ingresso in un nuovo mercato é sempre quello di raggiungere quest’obiettivo.

Per quello che riguarda il servizio idrico, quando la gestione passa in mano ai privati, per fare si che ci siano questi profitti, c’è un conseguente aumento delle tariffe o un calo degli investimenti; il più spesso delle volte, entrambe le cose succedono.

In Italia le cifre parlano chiaro, quando nel 1990 l’acqua era pubblica in tutto il paese, si investiva circa 2 milliardi di euro all’anno per gli investimenti; nel 2010 si sono investiti solo 700 milioni di euro per la manutenzione della rete idrica, in vent’anni il calo degli investimenti è stato di circa il 65%; considerando che c’è una perdita d’acqua di circa il 40% non sono affatto dati positivi.

L’incremento delle tariffe, in molti casi è stato considerevole, basta pensare che a Latina, dopo l’affidamento della gestione alla multinazionale Veolia, le bollette sono aumentate di quasi il 400%.

Leggendo questi dati, ci si potrebbe domandare perché sull’acqua la privatizzazione abbia sempre delle conseguenze così clamorose e che ne sarà delle teorie liberistiche che presentano la privatizzazione come il primo passo verso la liberalizzazione e l’autoregolazione del mercato.

La risposta è semplice, con l’acqua la liberalizzazione del mercato non è possibile. Chi ottiene l’affidamento della gestione gode poi di un monopolio naturale perché la rete idrica è una.

Allora il privato, in assenza di concorrenti, non si preoccupa delle logiche di mercato, può applicare le tariffe che vuole, e anche se non garantisce un servizio di qualità non ha il rischio di perdere dei clienti, che in ogni caso non possono smettere di consumare un bene essenziale alla vita.

Ecco perché l’acqua è considerata dai grandi imprenditori e dalle lobby internazionali « l’oro blu » . Per chi vuole fare denaro, è forse uno degli investimenti più sicuri; ma in questo caso chi investe nell’acqua non garantisce più il diritto ad un bene essenziale, perché l’acqua viene considerata una merce qualsiasi sulla quale fare profitti.

 

Le società miste (pubblico-privato) o le Spa dette « pubbliche » rispondono sempre a logiche di mercato

Molto spesso c’è ambiguità sul tipo di gestione del servizio idrico, ci sono delle cosidette vie di mezzo, si parla ad esempio di Spa pubbliche o di società miste con partecipazione pubblica e privata. Ma ai movimenti per l’acqua pubblica, queste forme societarie non convincono, perché in entrambe i casi, sono società di diritto privato che rispondono alle logiche di mercato e prevedono i profitti sull’acqua.

Gli esempi di società miste in Italia dimostrano che molto spesso il pubblico influisce ben poco, e che queste aziende sono in mano ai privati.

A Roma, è l’ACEA che gestisce il servizio idrico integrato dal 1937. Nel 1998, il sindaco Rutelli ha trasformato questa società pubblica in Spa.

Oggi, il comune di Roma dettiene il 51% della società, un altro 25% se lo dividono Suez (multinazionale francese) e Caltagirone, e il resto è sul mercato, quotato alla borsa di Milano. Sull’acqua di Roma, c’è una forte speculazione, e viene messa ai totali rischi del mercato un bene prezioso che andrebbe considerato un diritto da garantire.

Qualche anno fa, i privati che gestiscono l’ACEA presero la decisione di investire all’estero senza nemmeno che il socio pubblico si fosse espresso sulla questione.

L’investimento, in una società di telefonia mobile, non andò a buon fine e da allora l’ACEA ha per la prima volta i bilanci in passivo.

Si è messo a rischio una società che gestisce l’acqua romana da più di 70 anni per invesire su nuovi mercati.

Ci sono altre società miste che in Italia considerano l’acqua come una merce qualsiasi.

Pubbliacqua Firenze Spa (che appartiene in parte all’ACEA) ha lanciato qualche anno fa una campagna chiamata « Salva la goccia » per sensibilizzare la gente su un consumo responsabile dell’acqua. La campagna è andata a buon fine, e i consumi sono diminuiti. Dopo un paio di mesi però, Pubblicaqua Spa ha aumento le tariffe del 9,5% per mancati introiti. L’anno scorso l’Hera Spa, società mista che gestisce il servizio idrico di Bologna, ha fatto la stessa operazione, aumentando le bollette del 4,5% per lo stesso motivo.

In Campania, nella quasi totalià dei comuni dell’ATO 3 Sarnese Vesuviano, è la Gori Spa, società mista, a gestire il servizio idrico. A Nola, è stato il Comune ad assumere le spese per lavori di rifacimento ed ammoderamento della rete idrica e fognaria. Gli investimenti fatti dal comune per la manutenzione delle rete idrica ammontano a circa un milione di euro, e la Gori Spa si rifiuta tuttora di effettuare un rimborso. In poche parole, abbiamo un caso in cui un soggetto privato, la Gori Spa, fa profitti sull’acqua, mentre il pubblico si deve addebitare per la manutenzione della rete idrica.

 

Due quesiti referendari per una gestione pubblica dell’acqua

Consapevoli della mal gestione da parte dei privati, molti comitati cittadini hanno avviato da anni una battaglia per la ripubblicizzazione dell’acqua. Si rivendica il riconoscimento dell’acqua come bene comune privo di rilevanza economica. Detto in altre parole, i comitati vogliono che il bene acqua sia considerato un diritto da garantire e non una merce sulla quale fare profitti.

Non vogliono più essere considerati clienti a chi si vende un servizio, ma cittadini ha chi si garantisce un diritto.

In Italia i movimenti rivendicano il ritorno all’azienda speciale per la gestione dell’acqua, un’azienda di diritto pubblico che non risponde alle logiche di mercato. Questo modello societario prevede che le tariffe non siano più soggette all’IVA; la contabilità dell’azienda deve essere trasparente e tutto il ricavato viene automaticamente reinvestito per la garanzia del servizio.

In Italia però la legislazione attuale non permette più la gestione pubblica dell’acqua e costringe gli enti locali a mettere ai rischi del mercato il servizio idrico integrato, affidandone la gestione a società per azioni, e soprattutto cedendo almeno il 40% delle quote ai privati.

In Europa invece si è avviato da anni un processo di ripubblicizzazione dell’acqua.

In Francia sono già una decina le città che si sono rifiutate di rinnovare l’affidamento alle multinazionali Veolia e Suez. Perfino nella capitale, dove le due società si dividevano il mercato da 25 anni gestendo l’acqua ognuna da un lato della città, il servizio idrico è stato affidato al comune, dopo che nel 2009 i parigini si sono espressi a favore della ripubblicizzazione con il referendum.

A febbraio, sono i berlinesi ad avere rifiutato la gestione privata con il referendum, e nei Paesi Bassi, la legge tutela tuttora gli enti locali per una gestione pubblica dell’acqua.

Considerando la situazione europea, capiamo che l’affermazione di Tremonti che sostiene che l’Europa ci impone di mettere l’acqua sul mercato è assolutamente falsa.

L’unica cosa prevista dall’Europa al riguardo, è che nel caso di un affidamento a società private, ci sia una regolare gara di appalto.

Per fare si che si possa avviare anche in questo paese un processo di ripubblicizzazione dell’acqua i movimenti per l’acqua pubblica hanno raccolto delle firme per proporre dei referendum abrogativi. Nel giro di pochi mesi, sono più di 1 400 000 firme che sono state raccolte in tutto il paese. In primavera, gli italiani saranno chiamati alle urne per pronunciarsi sulla gestione dell’acqua.

Con il primo quesito, si propone di abrogare l’art. 23Bis della legge 133/2008 e la sua modifica con la legge Ronchi del 2009 che impone di cedere la gestione del servizio idrico ai privati. Con il secondo invece si propone l’abrogazione dell’art.154/2006, provvedimento del governo Prodi, che garantisce alle Spa la possibilità di incrementare le tariffe del 7% per la retribuzione del capitale investito.

 

Una volta abrogate queste leggi, ci sarà la possibilità di avviare anche in Italia il processo di ripubblicizzazione del servizio idrico integrato e di tutelare i comuni in cui l’acqua è tuttora gestita da enti di diritto pubblico.

La coalizione sociale e politica che raggruppa associazioni laiche e cattoliche, le voci dell’ambientalismo, le realtà sindacali di base e confederali, il mondo associativo altermondialista, le esperienze del terzo settore, della cooperazione e dell’altra economia, le associazioni consumeristiche ha ben chiaro che su questa battaglia non si tratta solo di riappropriarci di un bene comune fondamentale.

Si scrive acqua ma si legge democrazia.

 

*Attac Napoli – Comitato Referendario Campano 2 SI per l’Acqua Bene Comune

26 marzo manifestazione nazionale a Roma. Per info partenze dalla Campania www.refacquacampania.blogspot.com

Responses

  1. buy clenbuterol says:

    Giugno 9th, 2011at 8:30 am(#)

    Grazie molto per scrivere questo, è stato incredibilmente informativo e mi ha detto una tonnellata